Leggiamo quotidianamente le considerazioni della nostra classe politica sulla piaga dell’evasione fiscale in Italia e sulle soluzioni che i nostri rappresentanti, di qualunque parte essi siano, propongono per combatterla: in primis la lotta al contante.
In aggiunta all’ampia letteratura e ai numerosi temi di discussione che l’argomento ha ispirato vorrei di seguito esprimere il mio pensiero sulla questione, sulla base di una logica che parte da un concetto prettamente accademico integrato da considerazioni di uso più comune.
Partiamo dall’equazione degli scambi MV=PY introdotta da Irving Fisher nel 1911, che altro non è che la formalizzazione matematica della più nota teoria quantitativa della moneta. Questa equazione prevede tra i suoi argomenti la velocità di circolazione della moneta rappresentata dal numero medio di volte in cui un’unità monetaria viene utilizzata nell’unità di tempo. Sulla base di tale relazione dire che 100€ circolano ad una velocità di 50 significa che quella quantità di moneta genera un volume complessivo di transazioni pari a 5.000€. Inoltre, tale misura nella pratica non è mai univoca a causa della presenza di altre variabili difficili da quantificare come il “livello generale dei prezzi”, il “volume delle transazioni” ed altri elementi.
In sintesi, la velocità di circolazione della moneta è un elemento essenziale nel calcolo del valore della moneta stessa nonché della massa in circolazione necessaria ad un’economia per il suo funzionamento.
Veniamo ora ad un’altra considerazione sull’evasione fiscale. L’evasione fiscale è un reato fino al momento in cui l’imposizione è equa. Dal momento in cui l’imposizione diventa iniqua l’evasione si trasforma talvolta in “legittima difesa”.
Tornando al concetto della lotta al contante per combattere l’evasione e in base alle considerazioni sopra esposte vorrei ora arrivare alla considerazione di minor livello accademico, a cui mi accennavo all’inizio della mia riflessione:
Oggi pago 100€ ad un commerciante per fare la mia spesa settimanale, in contanti. Supponiamo che questi 100€ circolino solo in contanti per 50 volte e cioè dal commerciante a cui l’ho dato io al suo fornitore, dal suo fornitore ad un fornitore del fornitore e così via fino a 50 volte. Alla fine del periodo di osservazione (una settimana, un mese, un anno…) questi 100€ al tempo della cinquantesima transazione saranno ancora 100€ e avranno fornito il loro contributo all’economia, in base alla magnitude delle transazioni che si innescheranno.
Immaginiamo invece che le stesse transazioni di cui sopra, con la finalità di combattere l’evasione, siano fatte solo tramite pagamenti tracciabili che, salvo rarissime eccezioni, hanno tutte un costo. Consideriamo tale costo medio di 1€ a transazione, la stessa quantità di moneta in 50 passaggi ha generato costi per il soggetto pagatore di 50€. Quindi la stessa unità monetaria varrà al termine del periodo di osservazione solo più 50€
Concludendo, il dubbio sorge spontaneo: sarà la lotta al contante la soluzione al problema dell’evasione fiscale o piuttosto la via più comoda per evitare scelte fiscali più coraggiose come quelle che passano dalla diminuzione della pressione fiscale?
E’ giusto imporre un costo alla circolazione della moneta? E per contro, chi offrirebbe servizi di pagamento gratis? Anche la BCE è recentemente intervenuta sull’argomento, con una lettera inviata al nostro Governo in cui veniva precisato che la dichiarata finalità pubblica della lotta all’evasione fiscale, nella limitazione all’uso del contante, è tutta da dimostrare.
In sostanza la moneta altro non è che un mezzo di pagamento a costo zero per il consumatore, visto che l’unico costo che questa può avere è quello della sua produzione, che è a carico dell’emittente ovvero l’autorità sovrana.