Nel 2017, 5 milioni di italiani hanno dichiarato di essere stati orientati nelle decisioni d’acquisto da un influencer della rete. L’influencer marketing si conferma uno dei fenomeni più consistenti che il digitale, nell’era della iper-condivisione, ha portato con sé e che con molta probabilità continuerà a crescere e a evolversi. Queste le ragioni per cui il coinvolgimento dei cosiddetti influencer è ormai parte integrante di ogni piano di marketing.
Nel 2011 Google ha introdotto il concetto di ZMOT (Zero Moment of Thruth), definendo in questo modo il momento di decision-making online. Una nuova tappa nel percorso d’acquisto che va a posizionarsi dopo lo stimolo, ma prima del First Moment of Thruth, il momento della decisione di acquisto offline.
La strategia di comunicazione dei brand ha quindi iniziato a essere orientata al raggiungimento di un nuovo obiettivo: catturare l’attenzione dell’utente proprio in concomitanza con la decisione anticipata di acquisto, quella che si prende online.
Questo si traduce in un regolare incremento degli investimenti sul media digitale negli anni e nell’esplosione di fenomeni tipici della rete, che soddisfano questo bisogno e consentono di raggiungere con efficacia il consumatore connesso.
Influencer Vs. Testimonial
Il concetto di associazione di un volto a un prodotto, in realtà, è ben lontano dall’essere una novità, ma la figura classica del testimonial non va confusa con quella dell’influencer.
Il testimonial è solitamente legato al brand da una relazione di lungo periodo, spesso esclusiva, la sua figura investe di credibilità il cliente grazie a una associazione diretta d’immagine.
L’influencer, al contrario, è un opinion leader, che rende una professione la condivisione del suo esclusivo punto di vista. Dialoga con il consumatore in un rapporto paritario, non impone un messaggio attraverso una relazione top-down.
Funziona insomma come un media: affidiamo a lui un nostro messaggio per la sua capacità di trasmetterlo a un determinato gruppo di utenti in maniera incisiva e renderlo appealing in mezzo ad una molteplicità di messaggi che quotidianamente riceviamo.
Quindi, chi sono esattamente gli influencer, come li riconosciamo?
Gli influencer sono tutti coloro che, aiutati dai social network, costruiscono attorno a sé una rete di follower, più o meno corposa, con la quale generano e alimentano un rapporto di fiducia.
Non si parla quindi solo di popolarità, ma di affinità rispetto alla rete di contatti che gravita attorno a uno specifico profilo, dove il valore aggiunto per il brand è proprio la ripercussione che l’influencer esercita sulle decisioni di acquisto del consumatore.
Semplifichiamo uno scenario complesso dividendo gli influencer in alcune macro categorie:

- Le celebrities hanno massima potenzialità di reach, ma limitato livello di influenza dovuto alla lontananza dal target! Sono i personaggi famosi, il George Clooney della situazione, in grado di contattare un enorme numero di utenti, ma lontano dalla audience, poco tangibile.
- L’esperto, sempre reach importante e altissima affinità con il suo pubblico: in questa fascia collochiamo i trend setter, i dispensatori di consigli, Clio Makeup per il mondo del beauty per fare un esempio.
- I verticali, si dedicano a un tema e lo raccontano, sono più vicini ai vecchi blogger, si concentrano solitamente su un tema specifico: sui viaggi, sugli sketch divertenti, oppure più semplicemente sul racconto della propria vita. Solitamente parlano a un pubblico ben circoscritto. Un esempio? Le mamme blogger.
- I consumer o micro influencer: è possibile lavorare con profili di portata molto contenuta, ma appartenenti a personaggi che possono essere in ascesa, oppure naturalmente molto affini al nostro brand o, perchè no, già fan spontanei del nostro prodotto. È molto più complesso ottenere invece ambassador spontanei, che scelgano autonomamente di comunicare un marchio, naturalmente questo accade per poche categorie merceologiche e tendenzialmente per i love brand.
Se non sono testimonial, da dove arrivano?
I blogger hanno sperimentato per primi le potenzialità della rete, ma con un linguaggio diverso e senza una vera e propria strategia di monetizzazione del contenuto. A loro tempo, non hanno fatto altro che ritagliarsi uno spazio personale nella rete nel quale esprimere il proprio punto di vista, che iniziava ad avere ripercussioni sull’opinione pubblica. Con il prepotente inserimento dei social network nello scenario media, il livello di visibilità a cui aspirare è sensibilmente cresciuto. L’audience amplificata di cui i blogger potevano disporre li ha resi i primi web influencer.
Il loro esempio venne seguito da coloro che erano già celebrity, oppure esperti in uno specifico settore, in generale trendsetter!
Oggi viviamo nell’era della micro-influenza, ognuno dispone dei mezzi per diventare un potenziale influencer e queste micro-categorie, con la loro micro-sfera di azione, tendono a essere altamente considerate dai marketer, proprio grazie al loro rapporto altamente privilegiato con l’audience.
La selezione del volto giusto
Non tutti gli influencer sono adatti al nostro business, l’associazione a un personaggio non adeguato potrebbe non generare alcun risultato rilevante, oppure addirittura avere ripercussioni negative in termini di credibility. Ecco quindi il problema cardine quando si parla di associazione di un volto al proprio brand: la selezione!
Ecco una breve guida: nell’ordine, quali sono i fattori che vogliamo tenere in considerazione quando selezioniamo un influencer?
- Partiamo dagli obiettivi! Vogliamo amplificare un messaggio? Vogliamo approfondire un concetto? Raccontare caratteristiche del nostro prodotto? Per ogni obiettivo c’è una strategia.
- Potential Reach: ci vogliono I numeri! Calcoliamo sempre il pubblico potenziale che il personaggio è in grado di raggiungere. Quanti follower raccoglie? Su quali piattaforme? È forte in egual misura su Facebook e Instagram? Non esistono regole o benchmark, gli influencer possono avere meno di 5.000 follower o superare i 2 milioni, da tenere a mente che l’attivazione di più profili con numeri contenuti può produrre gli stessi risultati dell’attivazione di un solo volto noto.
- Relevance rispetto al mondo del brand: non è sufficiente raggiungere il più alto numero di persone possibile, è necessario intercettare con più precisione gli utenti o i gruppi ristretti che garantiranno un reale ritorno sull’investimento.
- Affinity con i valori del brand: colui che si fa portavoce del brand deve avere un profilo pubblico che ricalchi i capisaldi del marchio e del suo target. Il tone of voice e lo storytelling dovranno essere coerenti e adeguati. Attenzione! Non possiamo snaturare un influencer chiedendogli di parlare con un tone of voice che non è nelle sue corde, dovremo selezionarlo dal principio identificandolo come affine.
- Reputation e credibility: l’influencer è ritenuto un’autorità nel settore di appartenenza. Tutti i grandi influencer hanno un alto livello di engagement con i loro follower, che li seguono fedelmente. Attenzione però alla tipologia di linguaggio e all’immagine pubblica che costruiscono.
- Valutazione di altre partnership attive: data la mancanza di rapporti di esclusività, è interessante valutare se la persona designata ha altre partnership attive nel nostro periodo di comunicazione, se sta lavorando con player della stessa industry, chi sono questi player e con che tipo di brand positioning sono sul mercato. Solitamente tendiamo a prevedere almeno l’esclusiva merceologica all’interno del nostro periodo di campagna.
- Costi: come tralasciare il tema del budget. In assenza di un listino prezzi universale, come si comporta il mercato nella definizione dei costi?
Apriamo così il complesso e confuso capitolo sul budget
Il classico modello di attivazione tipico delle relazioni pubbliche prevedeva l’offerta di prodotto agli influencer in cambio di visibilità spontanea. Si chiedeva di indossarlo in pubblico o di postare online foto che lo includessero.
Naturalmente, questo genere di attività è oggi molto complicato da mettere in piedi, se non altro perché gran parte dei rapporti con influencer sono intermediati da agenzia e il loro contributo è regolato da soglie di compensi più o meno predefiniti dall’agenzia stessa. Sicuramente è meno economico ottenere visibilità, ma se ne può trarre qualche vantaggio: in primo luogo un accordo economico ci autorizza a richiedere specifiche attività all’influencer (numero di post, timing di pubblicazione, tipologia di piattaforma), ci consente di pretendere un livello qualitativo alto e di approvare ogni elemento prima della pubblicazione con conseguente riduzione dei rischi. Soprattutto, ci autorizza a richiedere pre-attivazione soglie garantite di visualizzazioni o di engagement, a seconda dell’obiettivo della nostra comunicazione.
Indipendentemente dai prezzi settati lato agenzia, ecco come si procede alla valutazione dei costi. Solitamente si parte dalla persona e da variabili quantitative: la sua reach potenziale: quanti follower? Quante visualizzazioni per video?
Fanno oscillare il prezzo: il numero di contenuti che chiediamo di produrre, la tipologia (video? post con immagine statica?), il numero di canali che chiediamo di attivare (YouTube? Instagram?), il timing del progetto e la sua estensione nel tempo, l’esclusiva merceologica ed eventuali altri limiti di brand che andiamo a inserire nell’accordo.
Ma vanno sommate variabili qualitative: che livello di engagement medio attiva l’influencer sulle sue pagine? Che tipo di dialogo instaura con i suoi follower? Senza dimenticare il livello di notorietà, anche offline, e la reputazione.
Il metodo più efficace per valutare i costi rimane comunque la costruzione di un benchmark storico: andiamo a costruire un nostro listino interno, da aggiornare frequentemente con i costi che sosteniamo per ogni persona, per ogni attività.
Può aiutare a dare un ordine di grandezza la comparazione tra costi di influencer con numeri simili.
Insomma, purtroppo si tratta di uno scenario molto confuso, in veloce evoluzione, ma che non è possibile ignorare. Per dipanare un po’ le matasse, può essere d’aiuto farsi aiutare da agenzie specializzate, richiedendo loro specifici preventivi per attività di consulenza in marketing e comunicazione.
Cito Mark Zuckerberg:
People influence people. Nothing influences people more than a recommendation from a trusted friend.
Un ultimo suggerimento: lavoriamo sempre a partire dai dati, un influencer che non è disposto a condividere dettagliate informazioni di reportistica sulla nostra attività non è un buon influencer.