I recenti sviluppi legati alla progressiva digitalizzazione dei processi che hanno caratterizzato l’industria bancaria negli ultimi anni hanno rappresentato un elemento di forte discontinuità rispetto ai previgenti modelli distributivi di prodotti, servizi e transazioni, arrivando a condizionare fortemente i rapporti con le imprese e con la clientela retail.
A fronte di richieste di una clientela sempre più esigente e digitalizzata le Banche stanno progressivamente abbandonando le tradizionali logiche basate sui concetti di prossimità e di territorialità, puntando sull’omnicanalità e sullo sviluppo di servizi innovativi. In questo contesto, caratterizzato anche dalle scarse marginalità e dai sempre più stringenti vincoli normativi e regolamentari, l’avvento del FinTech ha ridisegnato il mondo delle financial institutions, eliminando alcuni degli ambiti di sostanziale monopolio in cui tradizionalmente operavano gli intermediari bancari.
Tale fenomeno è da leggersi congiuntamente alle concrete minacce provenienti dalle grandi BigTech (Google, Amazon, Facebook, Apple, Alibaba, Samsung, etc.) che operando in condizioni economiche favorevoli, con un parco clientela molto esteso e basi dati rilevanti, sono in grado di attirare sulle proprie piattaforme fornitori di servizi svariati, compresi quelli di tipo finanziario, anticipando in modo sempre più puntuale i gusti e i bisogni della clientela e le relative abitudini di pagamento.
Consapevoli della necessità di adeguarsi al mutato scenario di mercato, le Banche tradizionali hanno risposto con strategie e intensità differenti. Nei casi più virtuosi si è assistito al fenomeno della cd Fintegration, attraverso operazioni di acquisizione di operatori FinTech da parte delle Banche, di ingresso nel capitale con quota di minoranza ovvero di accordi di partnership con tali imprese.
Alcune delle tendenze più rilevanti riguardano lo sviluppo di “servizi di piattaforma”, che favoriscono la gestione integrata di processi e servizi bancari aperti a più operatori in ottica multicanale. Il modello di open banking consente infatti alla Banca di offrire servizi diversi di terze parti, sulla base del modello di Apple o di Airbnb.
Recenti analisi evidenziano che l’investimento nella digitalizzazione dei processi comporta per le Banche un aumento del 20% dei ricavi e una riduzione del 30% dei costi.
Le banche più virtuose investono nella digitalizzazione con le seguenti finalità:
- migliorare la customer experience della propria clientela, attraverso un approccio sempre meno ancorato alla limitata gamma di prodotti e servizi offerti dall’intermediario, e sempre più rivolto ai bisogni della clientela;
- favorire il migliore impiego della mole di dati a disposizione, attraverso l’utilizzo di metodi quantitativi e moderne tecnologie per le decisioni strategiche, come nella valutazione del credito, nella gestione dei rischi, nel wealth management, nella comunicazione e nel marketing attraverso una logica da “data driven bank”;
- reingegnerizzare i sistemi informativi, costruendo un’architettura IT di ultima generazione, basata sul cloud, sicura ed efficiente e “open” rispetto agli altri sistemi, dispositivi e fornitori di servizi esterni;
- attrarre i migliori talenti digitali, in grado di rompere gli schemi tradizionali, su tutti i livelli organizzativi a partire dal board;
- creare il clima adatto per favorire il cambiamento attraverso l’implementazione di un modello di piattaforma che consenta lo scambio di informazioni tra risorse appartenenti ad aree differenti, stimolando la partecipazione dei clienti.
L’obiettivo è quello di implementare modelli distributivi ed operativi focalizzati su economie di scala, attraverso un utilizzo ampio delle tecnologie e dei dati, con positive ricadute sui tempi di risposta dei servizi prestati e sull’economicità della gestione.
Questi investimenti consentiranno agli intermediari di riorganizzare le proprie strategie di business, con importanti ritorni in termini di efficienza, sicurezza e tempestività delle operazioni, capacità di soddisfare nuovi bisogni della clientela.
I modesti investimenti rilevati finora in Italia originano da diversi fattori legati alla sicurezza informatica, alla complessa integrazione con l’architettura informatica preesistente, alla difficoltà di introdurre elementi innovativi rispetto alla struttura organizzativa e ai processi operativi in essere. Con riferimento alla sicurezza informatica, i modelli web-based, tipici delle controparti Fintech, aumentano l’esposizione degli intermediari ai rischi cyber e di conformità; l’utilizzo massivo di dati (data learning e big data), tipicamente in cloud, richiede un’attenta valutazione dei rischi tecnologici conseguenti, attraverso adeguati presidi e controlli; infine, le esigenze di protezione dei dati della clientela richiedono disponibilità di servizi ampiamente sperimentati e controllati.
Tutto ciò aumenta in modo rilevante i costi legati agli investimenti oggi già molto onerosi e non adeguatamente compensati dai ricavi dell’attività bancaria. La progressiva crescita della spesa per l’Information and Communication Technology è stata riscontrata anche dall’ultima edizione della Rilevazione sull’IT nel settore bancario italiano, curata da CIPA (Convenzione Interbancaria per l’Automazione) e ABI e pubblicata a fine dicembre ’18. Da questo punto di vista è nota la tendenza delle Banche, iniziata da circa un trentennio, in particolare da parte delle cd Less Significant a ricorrere a soluzioni di full outsourcing dei servizi IT nell’ottica di realizzare almeno sul piano teorico economie di scala e numerosi altri vantaggi che si possono così sintetizzare:
- taglio dei costi operativi, attraverso l’eliminazione degli oneri legati al personale specialistico e alle risorse infrastrutturali e al maggior controllo dei costi;
- disponibilità di soluzioni tecnologiche di ultima generazione, con buon livello di flessibilità e customizzazione;
- disponibilità di personale altamente specializzato;
- possibilità per le Banche di focalizzarsi sulle attività core e sugli obiettivi di business predefiniti;
- possibilità di “liberare” risorse prima impiegate sulle attività oggetto di esternalizzazione, da destinare al core business;
- possibilità di disporre dei servizi esternalizzati senza limiti temporali;
- riduzione dei rischi legati al mancato adeguamento delle risorse alle best practice di settore.

La soluzione di dare in outsourcing i sistemi informativi presso provider esterni, spesso costituiti nella forma di Consorzi, in grado di gestire le istanze di più Banche di piccole e medie dimensioni, è parsa in questi anni la più efficace a realizzare quelle economie tanto ricercate nella sempre più complessa gestione dell’attività creditizia.
Tuttavia l’esperienza dell’ultimo decennio ha evidenziato anche la presenza di numerose diseconomie e rigidità legate all’utilizzo di tali soluzioni. Si citano tra le altre le seguenti:
- scarsa tempestività nella fornitura dei dati/informazioni richieste, con negative ricadute sull’attività di reporting. Tali criticità non hanno mancato di palesarsi anche in occasione di accertamenti ispettivi dei regulators con conseguente difficoltà per gli Istituti oggetto di verifica di fornire le informazioni richieste dall’Autorità di Vigilanza con il grado di dettaglio e la tempestività richiesti;
- standard di data quality non sempre eccelsi, soprattutto nell’ambito delle rielaborazioni periodiche connesse ai vari passaggi dei dati dai sottosistemi gestionali a quelli contabili fino a quelli segnaletici;
- mancanza di garanzie circa la certezza del dato (semovenza della base dati) dovuta talvolta anche ad errori di programmazione;
- sistemi informativi troppo rigidi, difficilmente parametrizzabili e a bassa scalabilità, di fatto inadattabili, incapaci di sostenere la crescita strutturale delle Banche consorziate, “aggiustando” continuamente il tiro e tarandosi in base ad eventuali nuove esigenze od innovazioni;
- livelli di sicurezza nel trattamento dei dati non sempre conformi agli standard qualitativi richiesti;
- livelli di sicurezza fisica e logica non sempre adeguati e in grado di mitigare i rischi di inefficienze nell’area edp e i problemi di operatività; con conseguenti potenziali danni reputazionali per le Banche consorziate;
- scarsa efficacia dei controlli di primo livello (controlli diretti) già all’interno dei provider che spesso tendono a “scaricare” sugli Istituti consorziati attività (riconciliazioni, controlli di flussi, quadrature, etc.) che invece dovrebbero essere assicurate dall’outsourcer;
- errori nella scelta della piattaforma tecnologica;
- criticità nella gestione degli accessi: errata attribuzione dei ruoli (definizione dei profili utente) e carente adeguamento alla normativa comunitaria sui protocolli di sicurezza.
Questi aspetti non sono passati inosservati anche alla Banca d’Italia che in un recente Convegno ha osservato che “Il ricorso intensivo all’esternalizzazione delle infrastrutture e dei servizi IT rappresenta per le banche un elemento potenzialmente critico. Se è vero che grazie all’outsourcing è possibile accrescere l’efficienza operativa e la flessibilità gestionale, è pure da considerare il rischio di attenuare la capacità di governare pienamente, dal punto di vista strategico, la leva tecnologica, che subisce i vincoli connessi con legacy informatiche imposte da soggetti esterni. È un aspetto su cui riflettere, in considerazione della necessità per gli incumbents di poter fronteggiare le dinamiche competitive, attuali e future, anche attraverso una capacità dinamica di riposizionamento.“.
In un contesto come quello attuale il rischio rappresentato dalla crescente competizione delle FinTech è quanto mai attuale, la disruption sarà totale e solo le realtà più virtuose e pronte a innovare rapidamente potranno sopravvivere nel prossimo futuro.
Il rapido avvento del Fintech impone infatti agli Istituti di Credito modifiche tempestive ai propri modelli di business che coinvolgono necessariamente anche le reti fisiche. Queste ultime devono essere opportunamente ripensate (non sempre e necessariamente chiuse) in modo da poter sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia digitale. Le Banche devono scegliere velocemente il proprio posizionamento nel nuovo settore dei servizi finanziari per affrontare adeguatamente le nuove sfide che nei mercati esteri è già in corso e che è destinata a modificare profondamente le regole del gioco. In questa nuova sfida le Banche devono poter azionare efficacemente la leva tecnologica,
Da questo punto di vista le Banche L.S. che ricorrono a soluzioni di full outsourcing informatico sono fortemente condizionate dai provider informatici a cui si sono appoggiate in passato. Tali outsourcer in questi primi anni si sono dimostrati poco reattivi e disponibili a investire nella digitializzazione e a innovare. In particolare in Italia hanno dimostrato finora di non aver colto con adeguata serietà e senso di responsabilità le istanze, in alcuni casi pur disomogenee e disorganizzate, provenienti dagli istituti consorziati, fornendo risposte tiepide, conservative, finalizzate a contenere e a posticipare gli sviluppi tecnologici, limitandoli spesso al mero adempimento degli obblighi di compliance.
Per gli Istituti minori è quindi urgente e vitale la necessità di fare fronte comune per portare avanti con i propri partner tecnologici le innovazioni imposte dalla disruption, rapidamente ed efficacemente. Occorre quindi agire in tutte le sedi, dai Consigli di Amministrazione dei Consorzi informatici, a cui partecipano tipicamente i rappresentanti degli Istituti soci, fino ai Comitati tecnici, per intraprendere in maniera spedita ed efficace la strada dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione.
Le Banche devono poter disporre di sistemi informativi aggiornati, modulari, flessibili, capaci di aumentare di scala in funzione delle necessità e disponibilità e, soprattutto, in grado di integrarsi con sistemi esterni, applicativi e piattaforme.
Nell’esplicazione delle attività legate alla ricerca e all’implementazione di soluzioni tecnologiche digitali e innovative, potrebbe risultare utile essere affiancati da consulenti e professionisti con esperienza e specializzazione specifica in tali attività. In tal senso sono oggi disponibili sul mercato online numerosi siti e piattaforme che permettono di agevolare l’individuazione delle migliori software house e dei migliori consulenti in ambito IT. Tra queste, spiccano quelle che permettono di richiedere preventivi per consulenza informatica a professionisti del settore, in grado di sviluppare un’offerta indirizzata alla specifica situazione ed esigenze. La Banca, l’intermediario o l’impresa cliente potrà quindi valutare la migliore offerta tarata sulle proprie necessità, soppesando pregi e benefici di tutte le offerte ricevute tramite tali piattaforme di beauty contest.