La proliferazione normativa che ha riguardato il settore bancario nell’ultimo decennio, in risposta alla crisi economica, i sempre maggiori vincoli regolamentari imposti dai regulator, la ridotta marginalità dell’attività lending tradizionale anche legata ai bassi tassi di interesse hanno creato le condizioni per una considerevole fase di contrazione dell’offerta di credito.
Tali condizioni hanno caratterizzato la peggiore crisi economica che l’Italia abbia conosciuto. Tra il 2007 e il 2013 il PIL è infatti caduto del 9 per cento, la produzione industriale di quasi un quarto, gli investimenti di poco meno del 30 per cento e anche nel periodo successivo la crescita del prodotto è rimasta debole.
All’interno di questo scenario i prestiti alla clientela hanno subito un’importante contrazione, nel periodo considerato, da 1.350 a 1.250 miliardi di euro secondo dati di Banca d’Italia.

La rapida diffusione del credito FinTech conosciuta recentemente si spiega anche con il particolare contesto che ha contraddistinto l’ultimo decennio. Tali operatori si sono ritagliati una prima quota di mercato offrendo fonti alternative di finanziamento per le imprese e i consumatori, favorendo altresì le condizioni per l’accesso al credito di segmenti tradizionalmente poco serviti.
Un’indagine conoscitiva della Banca d’Italia pubblicata nel 2018 ha posto in luce come anche gli intermediari bancari tradizionali siano impegnati in un numero non trascurabile di iniziative che riguardano progetti FinTech; il valore degli investimenti risulta tuttavia modesto, collocandosi su valori inferiori a quelli degli altri principali paesi dell’Unione.
Tuttavia, dall’analisi della recente operatività delle FinTech di credito in Italia sono emersi ambiti di rischiosità talvolta non adeguatamente presidiati, principalmente legati al contenuto numero di risorse che caratterizzano le imprese (tipicamente intermediari finanziari ex art. 106 TUB e Istituti di Pagamento) operanti in questo comparto e alle logiche di automatizzazione e industrializzazione su cui si basano i processi creditizi di tali entity. Da qui la necessità di valutare strumenti e presidi per garantire una protezione adeguata a consumatori e investitori nel rispetto dei principi di “proporzionalità” da un lato e di “vigilanza equivalente” dall’altra.
Le disposizioni dell’autorità di vigilanza sulla concessione del credito
La lunga fase implementativa che ha modificato talvolta anche strutturalmente il framework regolamentare del sistema bancario in Europa e in Italia ha lasciato invariati i principi fondamentali su cui si basa l’attività creditizia che continua ad essere ispirata alle tradizionali logiche di prudenza e di “sana e prudente gestione”. Anche i recenti interventi sulla normativa di vigilanza e in particolare quelli relativi alla Circolare 285 del 17 dicembre 2013, intervenuti con il 26° aggiornamento del 5 marzo 2019 (Parte Prima, Titolo IV, Capitolo 3 Allegato A – “Disposizioni speciali relative a particolari categorie di rischio”) (di seguito anche le “Disposizioni”) non hanno modificato i principi fondamentali su cui si fonda l’attività di concessione dei crediti.
Da questo punto di vista può risultare utile effettuare una valutazione di tali disposti alla luce dei processi industriali che governano le attività delle Banche e degli Intermediari Finanziari tradizionali da un lato e delle FinTech che concedono credito dall’altro.
In materia di concessione e di monitoraggio e classificazione dei crediti le Disposizioni anzidette evidenziano la necessità di formalizzare e aggiornare periodicamente le Politiche e le procedure che disciplinano l’attività di concessione del credito anche nell’ottica di assicurare coerenza con gli obiettivi di business e di rischio definiti dal Piano Industriale: «L’intero processo di gestione del rischio di credito e di controparte (misurazione del rischio, istruttoria, erogazione, controllo andamentale e monitoraggio delle esposizioni, revisione delle linee di credito, classificazione delle posizioni di rischio, interventi in caso di anomalia, criteri di classificazione, valutazione e gestione delle esposizioni deteriorate) deve risultare dal regolamento interno ed essere periodicamente sottoposto a verifica.
Nel definire i criteri per l’erogazione dei crediti, il regolamento interno assicura che la diversificazione dei vari portafogli esposti al rischio di credito sia coerente con gli obiettivi di mercato e la strategia complessiva della banca.».
Su tale ambito le analisi condotte sulle procedure e sui regolamenti delle Banche e delle FinTech non hanno mostrato disallineamenti rispetto a tali Disposizioni che, nel rispetto dei principi di “proporzionalità” e di “vigilanza equivalente” sopra accennati, non evidenziano particolari ambiti di criticità.
Sempre le Disposizioni prevedono la necessità che in qualsiasi momento le Banche abbiano contezza della propria esposizione anche nei confronti di Gruppi economici e giuridici, che può assumere rilevanza sotto il profilo del rischio di concentrazione per effetto del cumulo delle esposizioni, attraverso la disponibilità di basi dati costantemente aggiornate: «La corretta misurazione del rischio di credito presuppone che le banche abbiano in ogni momento conoscenza della propria esposizione verso ciascun cliente e verso ciascun gruppo di clienti connessi (con rilevanza sia delle connessioni di carattere giuridico sia di quelle di tipo economico-finanziario). A tale fine, è indispensabile la disponibilità di basi dati complete ed aggiornate, di un sistema informativo che ne consenta lo sfruttamento ai fini richiesti, di un’anagrafe clienti attraverso cui generare ed aggiornare, a livello individuale e, nel caso di un gruppo bancario, consolidato, i dati identificativi della clientela, le connessioni giuridiche ed economico-finanziarie tra clienti diversi, le forme tecniche da cui deriva l’esposizione, il valore aggiornato delle tecniche di attenuazione dei rischi.
La corretta rilevazione e gestione di tutte le informazioni necessarie riveste particolare importanza nelle procedure per l’assunzione di grandi esposizioni.».
In questo le FinTech mostrano evidenti limiti nell’acquisizione delle informazioni, tipicamente di tipo qualitativo, necessarie alla costituzione di Gruppi, specie quando la connessione non è immediatamente individuabile da rapporti di tipo giuridico. Tali conoscenze presuppongono l’acquisizione di dati che non si trovano tra le righe dei dataset dei fornitori di informazioni commerciali, ma si colgono come risultato di un’analisi approfondita che tipicamente deve essere avviata già a monte dal referente della relazione.
Inoltre, nell’ambito dell’analisi del merito creditizio le Disposizioni prevedono che «Nella fase istruttoria, le banche acquisiscono tutta la documentazione necessaria per effettuare un’adeguata valutazione del merito di credito del prenditore, sotto il profilo patrimoniale e reddituale, e una corretta remunerazione del rischio assunto. La documentazione deve consentire di valutare la coerenza tra importo, forma tecnica e progetto finanziato; essa deve inoltre permettere l’individuazione delle caratteristiche e della qualità del prenditore, anche alla luce del complesso delle relazioni intrattenute. Le procedure di sfruttamento delle informazioni devono fornire indicazioni circostanziate sul livello di affidabilità del cliente (ad es., attraverso sistemi di credit scoring e/o di rating).».
Anche nella prima fase di valutazione del merito creditizio le FinTech mostrano ambiti di miglioramento: i processi automatici di valutazione tipicamente fondati su logiche algoritmiche non verificano efficacemente le connessioni e le consequenzialità di alcune delle principali variabili che intervengono nell’analisi, e precisamente quelle che riguardano la ricerca di una logicità tra importo richiesto, tipologia di forma tecnica e finalità del finanziamento, poiché anche in questo caso si tratta di informazioni da ricercare e analizzare non in maniera meccanicistica, al di fuori dalle logiche e degli automatismi su cui si basano le FinTech.
Ulteriori criticità nell’attività svolta dalle FinTech si colgono nella fase di valutazione del merito creditizio dell’azienda laddove le Disposizioni espressamente richiedono che siano effettuate analisi di tipo qualitativo sull’impresa che possono estendersi ai suoi azionisti, al suo management, e ad altre informazioni che riguardano i mercati di approvigionamento e di sbocco: «Nel caso di affidamenti ad imprese, sono acquisiti i bilanci (individuali e, se disponibili, consolidati), le altre informazioni desumibili dalla Centrale dei Bilanci e ogni altra informazione, significativa e rilevante, per valutare la situazione aziendale attuale e prospettica dell’impresa, anche di carattere qualitativo (validità del progetto imprenditoriale, assetti proprietari, esame della situazione del settore economico di appartenenza, situazione dei mercati di sbocco e di fornitura, ecc.). Nel caso in cui l’affidato faccia parte di un gruppo, la valutazione tiene conto anche della situazione e delle prospettive del gruppo nel suo complesso.» Anche in questo caso risulta arduo per le FinTech ricercare informazioni che non si trovano ordinate tra le righe delle Banche Dati pubbliche, ma che vanno ricercate nel tessuto economico in cui l’impresa svolge la sua attività.
Su altri ambiti non sono enucleabili gap rilevanti con riferimento alle prescrizioni regolamentari che riguardano l’utilizzo della Centrale Rischi nelle fasi di controllo andamentale e monitoraggio delle esposizioni, l’implementazione di sistemi di deleghe dei poteri deliberati dall’Organo con funzione di supervisione strategica, commisurati alle caratteristiche dimensionali delle differenti entity, sugli obblighi di rendicontazione periodica legati al (corretto) esercizio di tali deleghe, sul ruolo delle Funzioni di controllo e degli Organi aziendali.
Considerazioni conclusive
Com’è stato recentemente osservato anche dalla Banca d’Italia, la regolamentazione bancaria e finanziaria internazionale e nazionale, mostra difficoltà di adattamento al contesto di rapido cambiamento indotto dal fenomeno FinTech. L’azione di Vigilanza deve infatti da un lato preservare la sicurezza e la solidità del sistema finanziario, dall’altro adottare la necessaria flessibilità nell’applicazione della regolamentazione, concepita ancora secondo logiche di tipo tradizionale.
In questo contesto, le Autorità di Vigilanza devono garantire certezza delle regole assicurando che a parità di attività corrisponda il medesimo framework normativo; i rischi che giustificano l’esercizio dell’attività di vigilanza restano infatti immutati a prescindere dalla natura del soggetto vigilato, Banca e Intermediario tradizionale da un lato, FinTech dall’altro. Inoltre a differenza del mercato bancario e finanziario tradizionale, sottoposto ad ampia e diffusa regolamentazione, quello Fintech è più eterogeneo e frazionato su specifici ambiti della filiera produttiva; cresce pertanto il rischio che le varie entity pongano in essere arbitraggi normativi favoriti anche dal meccanismo del passaporto europeo e dal regime di libera prestazione di servizi. Per effetto di tali istituti regolamentari gli intermediari possono decidere, in presenza di regole e prassi non ancora omogeneizzate, di aprire la propria sede in quei Paesi ove la regolamentazione consente maggiori ambiti di flessibilità, per poi operare in altri usufruendo dei benefici del passaporto comunitario, che non richiede ulteriori autorizzazioni da parte delle Autorità locali. Tale dinamica può generare ambiti di rischiosità sia per la stabilità delle imprese finanziarie sia per la clientela.
Un contesto di vigilanza nazionale eccessivamente rigido rischia per altro verso di incentivare la delocalizzazione delle FinTech e degli intermediari innovativi in altri Paesi e con ciò la perdita di digital skills and experiences spostando all’estero un’industria nascente, capace comunque di varcare nuovamente i confini nazionali attraverso il passaporto europeo, in assenza di un presidio adeguato dei relativi rischi.
Per scongiurare tali rischi occorre a livello Europeo uniformare il più possibile le prassi applicative e assicurare che in tutti gli Stati UE gli operatori siano sottoposti al medesimo trattamento regolamentare sia nella fase autorizzativa sia successivamente, in sede di esercizio dei controlli on going. Da questo punto di vista occorre anche aggiornare la normativa di riferimento, di primo e secondo livello, al fine di presidiare più efficacemente i rischi e le asimmetrie ut supra evidenziate.
Le Autorità di Vigilanza devono quindi intensificare i propri canali di dialogo con gli operatori Fintech al fine di favorire un sano confronto con tutti gli operatori che consenta all’Autorità di vigilanza di acquisire maggior dimestichezza, approfondendo gli studi sul fenomeno, e di cogliere i rischi senza creare limiti alla crescita del nuovo mercato. Il confronto è utile anche per i nuovi operatori di mercato, che possono comprendere la presenza di eventuali limiti imposti dalla regolamentazione prima di effettuare investimenti anche importanti, e acquisre maggiore consapevolezza dei rischi, dei costi e delle opportunità legati ai settori di interesse.
Nell’esplicazione delle attività connesse a richieste autorizzative verso l’Autorità di Vigilanza connesse all’avvio di nuovi intermediari FinTech, potrebbe risultare utile essere affiancati da un consulente legale o da professionisti specializzati in tali operazioni. In tal senso sono oggi disponibili sul mercato online numerosi siti e piattaforme che permettono di agevolare l’individuazione del miglior consulente in materia di regolamentazione bancaria e finanziari.
Tra queste, spiccano quelle che permettono di richiedere preventivi per consulenza direzionale a professionisti del settore, in grado di sviluppare un’offerta indirizzata alla specifica situazione ed esigenze. La Banca, l’intermediario o l’impresa cliente potrà quindi valutare la migliore offerta tarata sulle proprie necessità, soppesando pregi e benefici di tutte le offerte ricevute tramite tali piattaforme di beauty contest.